WELLNESS ECONOMY

Articolo tratto dal Corriere della Sera

Wellness economy

Lo Stato dovrebbe dare incentivi per il benessere dei dipendenti in azienda. E l' esercizio fisico va considerato come un farmaco. Ma che fatica, in Italia, far fare fatica a tutti star beNe cONvIeNe . E SI RISPARMIA SULLA SPESA SANITARIA

Sarà meglio che non abbiate nulla contro la parola wellness. Perché in questo articolo la troverete spesso. Molto spesso. Del resto chi l' ha assemblata con precisione meccanica all' inizio degli anni ' 90 la ritrova ora con 124 milioni di citazioni su Google o 489 milioni su Yahoo! E in quasi due ore e mezzo di intervista l' ha usata molto più di un intercalare: 68 volte, per l' esattezza. Il «chi» in questione è Nerio Alessandri, uno dei pochi garagisti riconosciuti. Forse l' unico in Italia. Di sicuro il più importante. Come Bill Gates o Steve Jobs (personaggi cui fa continuamente riferimento) ha infatti fondato Technogym, che è oggi leader mondiale dei prodotti e dei servizi per lo stare in forma, nella sua rimessa per auto. Correva (è forse il caso di dirlo) l' anno 1983, a Gambettola, un paesino del Cesenate che a raggiungerlo oggi in macchina si passa per una rotonda con un monumento-iscrizione alla «Romagna, Romagna mia, lontan da te non si può star» scritta da Secondo Casadei e cantata con successo planetario dal nipote Raoul. E se il wellness parte anche da questo, dal benessere contadino che diventa lifestyle, cioè «regolare attività fisica, sana alimentazione e approccio positivo alle cose di tutti i giorni», dal «mens sana in corpore sano di 2 mila anni fa», lo stesso concetto arriva a farsi filosofia, progetto, visione totale e, ovviamente, business. Tanto che Alessandri ora teorizza la wellness economy. A forza di slogan. Ma anche e soprattutto di dati scientifici, considerazioni di buon senso e di una convinzione quasi muscolare che il futuro non può che andare in quella direzione. «Star bene conviene. A tutte le aziende. Perché incrementa la produttività, consente di valorizzare il capitale umano, di incentivare la retention (la fidelizzazione dei dipendenti, ndr) , di aumentare l' attrazione dei talent». Con una palestra aziendale, «ma che sia di quelle belle, non uno scantinato», si «riducono le malattie, ci sono meno incidenti sul lavoro. Il suo utilizzo è un benefit, un valore aggiunto». È come dire: datemi un manubrio o una panca per il crunch e vi solleverò i conti di fine anno. «Bisogna essere in forma per lavorare meglio», sottolinea Alessandri, che parla velocissimo, quasi allenasse la lingua sui suoi tapis roulant, «e, mi creda, in futuro le aziende affiancheranno al business plan il wellness plan, dal momento che una società in forma ha anche bilanci in forma. Le dirò di più: lo Stato dovrebbe dare incentivi per il benessere dei dipendenti». Ma il pensiero-training del presidente di Technogym non finisce qui. C' è il versante welfare da allenare. Massicciamente. In modo da consentire allo Stato risparmi sulla spessa sanitaria. «Noi chiediamo al governo di interpretare l' esercizio fisico come un nuovo farmaco, che oltretutto ha effetti collaterali solo positivi: per una camminata all' aria aperta non si spende nulla. È il tempo libero a più basso costo che c' è». Questo signore di 48 anni appena compiuti rileva però che in Italia si fa fatica a far faticare le persone, cosa che lui fa da oltre 25 anni. A fin di bene e di profitto. «Qui da noi non c' è assolutamente sensibilità sulla prevenzione. L' invecchiamento della popolazione, per esempio, produrrà nei prossimi 10-15 anni un impatto sociale ed economico devastante per questo Paese. L' aspettativa di vita aumenta, ma il problema è fare in modo che le persone arrivino in tarda età autosufficienti». Ecco perché, ripete, «l' esercizio fisico andrebbe prescritto dal medico di famiglia, per esempio a un anziano per combattere l' osteoporosi, a una donna in stato di gravidanza, a un obeso, per il diabete di tipo due». Ma il guaio, s' infervora Alessandri, «è che da noi tutti i politici, non importa di quale schieramento politico, tirano esclusivamente al breve. Servono invece progetti a dieci anni e bisogna investire in educazione nelle scuole. Il wellness», arriva a dire in un picco anaerobico, «è bipartisan. Non è di destra né di sinistra. È per tutti». A questo punto Mr. Technogym si rende forse conto di parlare come una specie di santone del wellness e a una precisa domanda risponde: «Guru? Guru de che! Io faccio l' imprenditore, ma del tipo di quelli che credono nel loro prodotto, nella loro filosofia, nelle loro risorse umane, nel loro business (e torna a citare Steve Jobs, ndr ). Dico tutto questo non per vendere qualche attrezzo in più, cosa che ovviamente non ci dispiacerebbe, ma perché ne sono profondamente convinto. E non è finita. Noi dovremmo avere la capacità di valorizzare il nostro Paese. Il vero made in Italy», sillaba, «è la qualità della vita italiana. Non copiabile. Non esportabile. Non delocalizzabile. Serve una filiera del benessere, un distretto del wellness. Pensi a quali vantaggi potremmo avere promuovendo il nostro modo di mangiare e di vivere, integrato con l' arte, la cultura e il paesaggio». C' è però un ma. E pure piuttosto pesante. «Noi in Italia e noi imprenditori italiani abbiamo l' orgoglio, il senso della nazione. Non abbiamo un sistema-Paese che valorizza il capitale sociale e quello intellettuale. Ci sono eccellenze un po' dovunque che pero restano nascoste, schiacciate, perché nessuno, a partire dai media, le va a scovare. Ed è così che poi ci sobbarchiamo il triplo della fatica, e dire il triplo è praticare uno sconto, per riuscire a fare tecnologia, innovazione e sistema. Spesso siamo soli in giro per il mondo». In America è diverso, osserva Alessandri, che sul biglietto da visita si presenta come wellness designer («che vuole», sembra quasi giustificarsi, «ho la testa tecnica. Mi sento veramente meccanico, come quando a 14 anni elaboravo i motorini per gli amici»). Negli Stati Uniti «se fai una promessa e la mantieni vieni ripagato. Qui in Italia», si sfoga, «se non hai coerenza può anche capitare che vinci di più. Da noi ci sono esempi eclatanti di grandissimi successi per gente che ha rubato, che ha fatto delle cose pessime. In tempi come questi, l' orgoglio degli imprenditori deve invece tornare al centro dell' economia. E dobbiamo renderci conto che il successo non è una colpa. Finora c' è stata la finanza: adesso bisogna tornare ai fondamentali, al prodotto, al duro lavoro. Credo la crisi sia un' opportunità. Bisogna soffrire. Essere attenti, perché tutto è più difficile. Il mondo delle imprese ha la necessità di fare quello che non aveva mai fatto. Anche in Technogym», avverte Alessandri, «stiamo sperimentando nuove attività, stiamo ottimizzando i costi. Ci muoviamo in base a un budget flessibile, cerchiamo di raggiungere il massimo risultato con i costi minori, ma continuiamo a investire in ricerca e sviluppo. Perché il nostro imperativo è: prodotto, prodotto, prodotto». Pare insomma di capire che, secondo il re del benessere, la crisi può circoscriversi a un malessere. Passeggero. Per cui a Gambettola si continua a lavorare. Anche per la nuova, avveniristica sede. La fabbrica-casamadre, ribattezzata Technogym village e pronta nel 2010, resterà infatti in zona, a Cesena. Perché il legame con il territorio è immutato. E immutabile. Del resto, come si legge sulla rotonda lasciando il paesino, «lontan» dalla Romagna «non si può star».
Foto: Nerio Alessandri

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